Il volume edito da Nous è breve. Il racconto è veloce, scritto con frasi rapide dove si alternano elementi narrativi e ricordi, rimandi ad altri luoghi (l’India per esempio). Questi vissuti diventano l’espediente che aiuta l’autrice a decifrare gli avvenimenti e, collegando passato e presente, a offrire al lettore un’esperienza sensoriale intensa, per quanto traslata nel tempo e nello spazio.
Quasi come succede davanti a dipinti realizzati in estemporanea dove colpi di colore immediati puntano a restituire la qualità dell’atmosfera di quell’istante immortalandola per sempre, la prosa di Maino è fatta di tratti. In più, rispetto a una tela, “Quaderno armeno” aggiunge alle immagini, profumi o odori respingenti, la sensazione della qualità dell’aria, densa o cristallina, sulla pelle, la maestosità del Monte Ararat e la banalità del quartiere nella periferia di Yeravat dove si trova l’Hotel Praha.
Per quanto tratteggiati attraverso alcuni elementi caratteristici (ci sono dettagli sufficienti per individuare piazze cittadine, le vie o il mercato all’aperto) i luoghi diventano il contorno in cui vivono i personaggi. Non per forza ci si ritrova in punti turistici famosi, nemmeno sempre in posti accoglienti – anzi nel testo non si nasconde la sporcizia, l’usura, il grigiore. Ma è forse proprio grazie alla natura materica degli appunti, scritti dall’autrice nel 2003 sul quaderno verde, che il racconto gode di un’immediatezza affascinante. Gli eventi si svolgono in una successione incalzante tanto da far venire voglia di divorare il volume in seduta di lettura unica.